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Scritto Sabato 22 maggio 2010 alle 19:33

Lecco: due filosofi e una giornalista si
interrogano, ``che cosa vuol dire morire``

Lecco

“Che cosa vuol dire morire” è uno degli ultimi libri pubblicati da Einaudi. Finalmente, a parlare di morte, “non sono politici, medici, cardinali”, bensì sei filosofi. Due di questi, Vito Mancuso e Roberta De Monticelli, erano presenti nella serata di venerdì 21 maggio, presso la Camera di Commercio di Lecco. L’evento, che ha visto la partecipazione di più di 150 persone è stato organizzato dalla ConfCommercio e dal Punto Einaudi di Lecco.

 

 

Daniela Monti, Vito Mancuso, Bruno Biagi (Gestore del Punto Einaudi di Lecco), Roberta DeMonticelli

 

 

Daniela Monti - curatrice del libro e caposervizio al Corriere della Sera - ha introdotto splendidamente l’incontro, lanciando quasi una provocazione con il suo riferimento ad una notizia, apparsa il giorno stesso sui quotidiani di mezzo mondo: “DNA creato in un laboratorio americano ed impiantato in un batterio in grado di riprodursi”.

La discussione è stata aperta da Vito Mancuso, filosofo e teologo convinto che “il paradigma religioso sia in una fase di grandissima evoluzione”, docente dell’Università Vita e Salute del San Raffaele, il quale non ha esitato a citare una delle pietre miliari della filosofia, e cioè “Il principio di responsabilità” di Hans Jonas - testo che fa riferimento ad un’etica capace di prendersi, innanzitutto, cura della società.

 

 

Inoltre, il professore ha messo in rilievo il gap fra l’aumento del livello di conoscenza e sapere e la mancanza del proporzionale adattarsi della capacità di gestire a livello etico proprio tale crescita.

Il professor Mancuso ha espresso, in risposta ad un interrogativo che, sempre su un quotidiano ha, di recente, lanciato Edoardo Boncinelli (genetista che si chiedeva se l’uomo non stesse cominciando a “fare Dio”) la speranza che “l’uomo si appassioni davvero a fare Dio, sfruttando conoscenza e sapere, nel senso buono del termine, costruendo pertanto ordine e benessere”.

La parola è poi passata a Roberta DeMonticelli, da pochi anni tornata ad insegnare in Italia (è docente di Filosofia della persona all’Università Vita e Salute del San Raffaele) dopo la lunga esperienza a Ginevra.

 

 

La professoressa DeMonticelli ha accennato al binomio che si è creato da Kant in poi - e con la filosofia novecentesca in particolare - quando c’è stata una forte tendenza a demonizzare la tecnica; secondo la professoressa questa antinomia sarebbe ormai da eliminare, data la necessità di “vedere la conoscenza come potenziale religione, in quanto esempio di vera, pura, onesta ed oggettiva passione”.

Dopo il primo scambio è intervenuta Daniela Monti che ha ipotizzato - partendo, tra l’altro, da alcune affermazioni degli autori stessi - la Libertà come punto d’incontro tra quelle due “fazioni” che, proprio a Lecco, non troppo tempo fa, si “diedero battaglia anche violentemente”, sul doloroso caso di Eluana Englaro.

A questo proposito, il professor Mancuso, dopo aver dato una definizione di “libertà come ciò che costituisce la nostra vita umana in quanto umana” ha insistito proprio sulle peculiarità dell’uomo, il quale vive una vita che “è costituita per il 99% da sei elementi chimici: Ossigeno Carbonio, Idrogeno, Fosforo, Azoto e Calcio” ma che al contempo, diversamente da quella degli animali o delle piante appartiene ad un essere che è sapiens sapiens e “sa di sapere”.

Il professor Mancuso ha, inoltre, espresso la necessità di collocare tutto in una prospettiva olistica, riconducendo ogni pensiero alla realtà attraverso la “mendatio mentis” e comprendere che “tutti noi, in qualsiasi stato ci troviamo, psichico o vegetativo o altro ancora, siamo parte di qualcosa di più grande, e dobbiamo accettarlo”.

La parola poi, è nuovamente passata a Roberta DeMonticelli, la quale ha sviluppato, nel suo discorso, parallelamente al tema della Libertà, quello del Diritto - che, secondo una rielaborazione della definizione kantiana, è “il luogo dove si prospetta, nel nome della giustizia, l’incontro universale dei molteplici sistemi valoriali presenti nel mondo contemporaneo, con il minor numero di conflitti possibili”. Secondo la professoressa DeMonticelli la Giustizia “è anche il dovere di lasciare morire chiunque nella reciprocità kantiana dell’accordo, e, soprattutto, secondo la propria concezione valoriale”; pertanto, andrebbe sostituita all’ideale di “Bene comune”.

 

 

Nel corso del dialogo si è poi giocato sulla differenza, solo apparentemente sottile, fra “morte” e “morire”. La prima rappresenta un evento - che è destinato a coglierci sempre, nel senso fisico del termine, impreparati, poiché legato a fatti esterni (incidenti, catastrofi); il secondo rappresenta un processo, che inizia già con la nascita e che ha lasciato grandissime tracce nella storia (gli Egizi, secondo Mancuso, “costruivano piramidi, tombe che bucassero il cielo”).

Il professor Mancuso si è poi espresso in merito alla Speranza, da considerare “come condizione mentale più che come virtù teologale”. Secondo Mancuso “credere in Dio è credere nella razionalità della vita la libertà a configurarsi in una dimensione eterna”.

L’incontro si è chiuso fra gli applausi, dopo alcune domande interessanti e ricche di spunti, con una splendida citazione di Roberta DeMonticelli, da un’opera del grande Robert Musil: “Ciò che chiamiamo cultura non è soggetto al criterio di Verità, ma nessuna grande cultura può evitare un confronto con la Verità ”.

 

Alberto Molteni



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